Sì,
era un muro
discosto,
isolato. Una volta c'era stato un convento, ma i soldati avevano
buttato giù tutto. Su quella Madonna però, non
avevano
avuto cuore di battere il piccone. Io e Niccolò ci recavamo
spesso a pregare, ed era bello perché tante altre persone
che
viaggiavano a piedi o a cavallo da Verona a San Michele, o il
contrario, si fermavano. Ciascuno si metteva in un posto diverso,
sull'erba della Spianà, e parlava da solo con la Signora.
In quell'Anno Domini si diceva che la Vergine della
Spianà
avesse concesso molte grazie e miracoli e per questo io e mio fratello
tornavamo e tornavamo, per via della nostra sorella Lucia che tossiva
sempre e non poteva più giocare con le altre bambine.
Dopo gli ultimi miracoli, che avevano lasciato tutti sbalorditi, la
gente veniva in moltitudine nelle feste comandate e la domenica. I
Veneziani però non erano contenti, perché queste
turbe di
folla attorno al muro della Madonna, toglievano visibilità
agli
artiglieri che prendevano la mira dietro i cannoni di Porta Vescovo.
Anche se la guerra in quel momento non c'era i soldati dovevano stare
sempre all'erta, che non si sapeva mai. Il buon vescovo, a sua volta,
desiderava mettere un po' di ordine, perché alla festa si
doveva
andare a messa, non a chiedere le grazie attorno al nostro muro.
Conosceva la fama di quel luogo e, ascoltate le voci dei devoti, aveva
compreso che occorreva dare a quell’immagine una degna
sistemazione. Prima di tutto, però, si dovevano far
rispettare
le regole della Chiesa.
Il Consiglio della città decise allora di trovare un posto
per
il nostro muro dentro una cappella. Io e Niccolò
ne fummo
delusi perché ci avrebbero portato via, chissà
dove, la
nostra Madonna. E poi, cosa ne sarebbe stato della povera Lucia, che
tossiva sempre?
Per fortuna le brave anime di San Michele, il paese della mia famiglia,
che siamo Mugnai alle basse, avevano deciso che la Madonna dovesse
rimanere. Mio padre Tonio e i suoi amici donarono quattro campi di terra per
costruire la chiesa. Gli altri non sappiamo, ma il Papà lo
fece
per devozione e per la nostra povera soreletta, che stava sempre
più male.
Io e Niccolò eravamo molto impauriti quel giorno,
avevamo il timore che il muro si sbriciolasse. Era vecchio e da tanti anni esposto
a ogni temperia. Non si era mai sentito che qualcuno potesse spostare
un affresco di quelle dimensioni. Era il 21 aprile del 1559, e ogni
colpo di martello dei maestri muratori ci si conficcava nel cuore. La
Madonna con il bambino fu trasportata su con corde e pulegge e poi
depositata assieme ai santi Antonio e Bartolomeo su un grande carro:
bellissimo, carico di drappi rilucenti, di argenti e di ceri accesi.
Quando finalmente il carro trainato da cavalli e buoi se ne
partì, cantammo il Te Deum e tutti gli inni alla Beata
Vergine
che conoscevamo. Ci allineammo in processione finché il
carro,
circondato da una torma di gente festante benedetta dai colori della
primavera, giunse a San Michele.
I mastri carpentieri del paese avevano preparato una chiesetta di
legno, per riparo, ma depositare la Madonna sul muro provvisorio fu un
lavoro delicato. Ad un tratto una corda si ruppe e a tutti ci si spense
il fiato in gola. Sì, depositarla a terra fu ancora
più
difficile che staccarla dalla sua prima sistemazione, ma alla fine gli
operai alzarono tutti insieme le mani imbiancate e levarono grida di
gioia. Ce l’avevano fatta! Entrai nella piccola chiesa di
legno,
odorava di nuovo, il mio cuore batteva e batteva: adesso la nostra
Madonna era ancora più vicina.
Mio papà Tonio, allora, mi appoggiò la mano
sulla spalla e sussurrò: "Vostra sorella è
qui..."
Strano, pensai, perché nessuno tossiva…