1630 - IL FLAGELLO DELLA PESTE

Paolo Uccello
TIEPOLO - SANTA TECLA LIBERA ESTE DALLA PESTE - 1759

Nel 1628 la presenza dei Padri Camaldolesi a Madonna di Campagna era consistente: sette erano i frati che officiavano la messa più altri undici e un converso sempre disponibili al servizio della chiesa. In quegli anni anche i fedeli crescevano di numero così che fu concesso ai monaci di occupare le sale precedentemente destinate ad uso esclusivo dei Governatori.

Fu proprio in quel periodo fiorente per il monastero che la città di Verona dovette affrontare un terribile flagello: l’epidemia di peste del 1630 che mietè vittime in tutte le città più importanti d’Europa e che in Italia prese il nome di “Gran Contagio”.

Non vi è traccia di cronaca che indichi se i Padri Camaldolesi fossero interessati al “Gran Contagio”: essi furono probabilemente soltanto spettatori e vittime. Nel 1628 infatti a Verona, più precisamente al Pestrino di Porto San Pancrazio, era stato completato il lazzaretto. I lavori per la sua edificazione erano iniziati ben 80 anni prima, ma la loro conclusione a soli due anni prima dall’esplosione del contagio si rivelò provvidenziale.

La storia narra che ad introdurre la peste a Verona fu un soldato, tale Francesco Cevolini, che portava con se’ delle vesti rubate o comprate a dei “soldati alemanni”, con ogni probabilità i Lanzichenecchi, mercenari austriaci, che per primi portarono la peste nella Penisola. Di loro parla anche Alessandro Manzoni nel suo più celebre romanzo. Alla diffusione del morbo bastava anche solo il contatto con le vesti dei contagiati; fu così che in breve tempo la peste si diffuse rapidamente anche nei dintorni della città al punto che Venezia, seriamente preoccupata, mandò a Verona il cavaliere Aloise Vallaresso che, una volta accertatosi che si trattasse di peste, aveva il compito di emanare una serie di provvedimenti atti ad arginare il diffondersi del morbo. Nonostante la correttezza delle misure adottate, la mortalità raggiunse un livello impressionante; il medico Francesco Pona nel suo “Gran Contagio di Verona” del 1631 rilevò che nella città morirono 33.000 persone su una popolazione di circa 54.000 abitanti. Egli descrisse accuratamente tutte le fasi della pestilenza la cui gravità fu tale che ad un certo punto, essendo il lazzaretto pieno, i morti venivano abbandonati sull’Adige.

Il Pona sottolinea come monasteri e religiosi patirono particolarmente al tempo della peste; essi infatti venivano abbandonati alla loro povertà dai medici della zona, decimati anch’essi dall’epidemia. La stessa sorte subirono le Benedettine di San Michele (di 50, dopo la peste, ne rimasero 26) e con ogni probabilità anche i Padri di Madonna di Campagna.

La peste, che durava da maggio, terminò, così come era cominciata, nel settembre dello stesso anno lasciando dietro di sè miseria e povertà e permettendo al monastero di riprendere la sua attività. Era allora priore il monaco Apollonio.

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