La
congregazione camaldolese coniugava già a quel tempo vita
comunitaria e solitaria, questa comunione è
tutt’ora espressa nello stemma rappresentante due colombe che
si abbeverano ad un solo calice.
I frati che si stabilirono presso la basilica fuori le mura svolsero
non solo un ministero spirituale al servizio della diffusione del culto
alla Madonna di Campagna, ma esercitarono anche una grande influenza
sul mondo esterno alle mura del monastero, per le loro
attività nelle “arti pratiche”. Le opere
agricole e la gestione delle risorse forestali rappresentano un
elemento imprescindibile della vita monastica camaldolese. I monaci
portarono tecnica e conoscenze sulla bonifica dei terreni abbandonati
ed infruttuosi. Il loro buon esempio servì
senz’altro da modello, grazie soprattutto al grande rispetto
per il lavoro manuale in generale.
I “padri bianchi”, chiamati così
perché indossavano un abito bianco che derivava dalla tunica
non tinta dei contadini e dei pastori, erano amati per il loro impegno
sacerdotale e perché seguivano le regole della comunione e
dell’ospitalità; essi intervenivano prestando
pubblico soccorso “ne fame pereant”.
Erano esempi
per i loro fedeli anche grazie ad alcune figure di abati morti in
“odore di santità”, quali Padre Orensio
(1654) e Padre Perini (1676); quest’ultimo praticava con
grande perizia l’arte del miniare ed era un abile architetto.