Fin dal 1573
sei sacerdoti si occupavano della celebrazione delle Sante Messe nelle
ore canoniche, ma i bisogni del Santuario crescevano, i pellegrini e i
fedeli si moltiplicavano tanto che l’officiatura delle Messe
non poteva più svolgersi con regolarità; fu
così che si giunse alla risoluzione di affidare il Santuario
ai Padri Camaldolesi che da parte loro ne avevano fatta solenne
richiesta alla Città e al Vescovo. Il documento con il quale
padre Faustino Tedeschi, procuratore della Congregazione Camaldolese e
primo Abate del monastero, si rivolse al Magnifico Consiglio di Verona
è passato alla storia come “La richiesta di Fra
Tedeschi”.
I Padri
Camaldolesi si stabilirono così a Madonna di Campagna, era
il 28 febbraio 1596. Al loro arrivo trovarono un santuario e cinque-sei
case diseguali che furono il primo nucleo dell’antico
monastero. In esse svolsero la loro vita comunitaria, dedicandosi
intensamente al culto e alla devozione della Madonna,
all’accoglienza dei pellegrini e al servizio liturgico. La
prima comunità di frati era composta da un Abate, dieci
monaci e un converso, che dovevano sostentarsi con i cinquecento Scudi
Romani concessi loro dal Pontefice Clemente VIII il 7 luglio del 1596.
Va riconosciuta ai Camaldolesi un’attenzione particolare alla
conservazione del tempio e del monastero, con continui restauri ed
interventi. Inoltre instaurarono rapporti di comunione con la natura
circostante, le loro case, ma soprattutto con le economie e le
società locali di cui diventarono punto di riferimento.
Dovettero gestire i non sempre facili rapporti con i Governatori del
Magnifico Consiglio di Verona; affrontarono denunce e accuse di
negligenza nel servizio della chiesa da parte dei cittadini di San
Michele e dei pellegrini (Basilio Finetti “Monografia della
Madonna di Campagna in San Michele Extra. Verona”).
Essi subirono
inoltre le conseguenze di terremoti, inondazioni, della famosa peste
del 1630, carestie, fame, siccità e saccheggi.
Esercitarono
attività agricole e la coltivazione del gelso per diffondere
la bachicoltura, allora assai redditizia.
Realizzarono
opere infrastrutturali come la stradella che da Zevio conduceva a
Madonna di Campagna e recuperarono terre agricole abbandonate
rivitalizzando l’economia della zona ridotta ormai alla
sussistenza.
Nel 1755
l’allora Generale Abate, Don Giovanni Ipsi,
abbozzò l’idea di rifare ex-novo il monastero e
suo fratello Gregorio Ipsi, abate a Madonna di Campagna, la
realizzò sette anni più tardi. Tale costruzione,
purtroppo, fu a disposizione dei religiosi solo sedici anni
perché essi furono costretti ad abbandonare il convento di
Madonna di Campagna l’8 marzo 1772, in seguito ad un decreto
della Repubblica di Venezia, datato 12 settembre 1771, che sopprimeva i
piccoli conventi e monasteri.