Io e
Niccolò adesso avevamo la nostra Madonnina a portata di
mano, nella chiesetta di legno vicino alla strada che portava a
Venezia. Siamo andati lì fin dal primo giorno, con la
piccola Lucia, tanto che i preti ci hanno preso subito in simpatia e ci
hanno permesso di accendere i lumini, ma siamo stati poco,
perché la calca di gente era impressionante.
In tanti volevano osservare la Madonnina della Spianà, ma
dentro la cappella era ancora tutto provvisorio in attesa che il grande
Architetto costruisse la Basilica, come aveva promesso ai cittadini di
San Michele. Il pavimento ballava e le panche si piegavano e cigolavano
sotto il peso della gente. Il muro affrescato era appoggiato alla
parete, depositato su un tappeto provvisorio di assi. I fedeli erano
stati così tanti, che la cittadinanza aveva deciso di
chiudere il tempietto dopo il tramonto, perché i bravi
sorveglianti ad una certa ora volevano tornarsene a casa.
Noi due fratelli maschi, che pensavamo di essere i più
furbi, sapevamo che le assi dietro l’altare di noce si
potevano staccare, perché i carpentieri si erano dimenticati
di inchiodarle per bene. Così quella sera, uscimmo dalla
finestra di casa con il buio pesto, perché il
papà non sapesse, per andare a goderci la vista della
Madonnina tutta per noi, alla luce dei lumini che avevamo acceso di
giorno.
Fu così non fu così, quella notte
scoppiò un gran temporale, e si gonfiò un vento
maestoso, io e Niccolò fummo presi da una grande paura.
Eravamo in preghiera davanti a nostra Signora, ma di nascosto da nostro
padre e dai preti, che fossimo in peccato mortale?
Il vento entrò nella cappella urlando come una furia, spense
tutti i lumini e fu così potente che il muro della
Spianà si fece vela, muovendo le assi come una barca sul
fiume. Ecco come il volto della Vergine fu rivolto verso la
città. Questa nostra verità non
l’abbiamo mai raccontata a nessuno, ma è passato
tanto tempo che crediamo sia giunta l’ora di confessarci.
Riaccendemmo la lampada ad olio grazie ad uno zolfanello di
papà. Raccogliemmo qualche asse sparsa per chiudere il buco
dietro l’altare e ce ne uscimmo nella notte bagnata, tutti
tremanti. Mai avremmo potuto pensare che la gente del borgo, la mattina
dopo, si mettesse a gridare “Al miracolo”.
“La Madonnina vuole guardare Verona!”,
”Protettrice dalla città!”,
“Amica del Popolo…”. A sentire queste
parole io e Niccolò ci vergognavamo molto, perché
pensavamo di avere commesso un sacrilegio.
Nostro padre, che era un pezzo di pane e non solo perché
faceva il mugnaio, si avvicinò a noi durante la cena e
scosse la testa. “Tutto il paese parla di miracolo, ma io
penso che ci siano due puteleti che sanno cosa sia successo
veramente…!”.
Niccolò non sapeva trattenersi e scoppiò a
piangere, spergiurò che mai e poi mai avrebbe profanato
quell’immagine, che per lui era sacra e gli pareva la mamma,
che se n’era andata mentre arrivava la nostra
soreletta Lucia. Era stato il vento, con il nostro aiuto
perché gli avevamo aperto la strada togliendo le assi, ma il
vento…
Allora mio padre ci prese vicino e pronunciò una frase
bella, che ho ricordato per tutta la vita: “I miracoli
camminano sulle gambe degli uomini, anche se non sono ancora
cresciuti.”
Ci strinse le spalle, lo abbracciammo e piangemmo con lui.