RIVOLTA VERSO VERONA

Cana
Paolo veronese - LA CENA DI EMMAUS - 1560

Io e Niccolò adesso avevamo la nostra Madonnina a portata di mano, nella chiesetta di legno vicino alla strada che portava a Venezia. Siamo andati lì fin dal primo giorno, con la piccola Lucia, tanto che i preti ci hanno preso subito in simpatia e ci hanno permesso di accendere i lumini, ma siamo stati poco, perché la calca  di gente era impressionante.

In tanti volevano osservare la Madonnina della Spianà, ma dentro la cappella era ancora tutto provvisorio in attesa che il grande Architetto costruisse la Basilica, come aveva promesso ai cittadini di San Michele. Il pavimento ballava e le panche si piegavano e cigolavano sotto il peso della gente. Il muro affrescato era appoggiato alla parete, depositato su un tappeto provvisorio di assi. I fedeli erano stati così tanti, che la cittadinanza aveva deciso di chiudere il tempietto dopo il tramonto, perché i bravi sorveglianti ad una certa ora volevano tornarsene a casa.

Noi due fratelli maschi, che pensavamo di essere i più furbi, sapevamo che le assi dietro l’altare di noce si potevano staccare, perché i carpentieri si erano dimenticati di inchiodarle per bene. Così quella sera, uscimmo dalla finestra di casa con il buio pesto, perché il papà non sapesse, per andare a goderci la vista della Madonnina tutta per noi, alla luce dei lumini che avevamo acceso di giorno.

Fu così non fu così, quella notte scoppiò un gran temporale, e si gonfiò un vento maestoso, io e Niccolò fummo presi da una grande paura. Eravamo in preghiera davanti a nostra Signora, ma di nascosto da nostro padre e dai preti, che fossimo in peccato mortale?

Il vento entrò nella cappella urlando come una furia, spense tutti i lumini e fu così potente che il muro della Spianà si fece vela, muovendo le assi come una barca sul fiume. Ecco come il volto della Vergine fu rivolto verso la città. Questa nostra verità non l’abbiamo mai raccontata a nessuno, ma è passato tanto tempo che crediamo sia giunta l’ora di confessarci.

Riaccendemmo la lampada ad olio grazie ad uno zolfanello di papà. Raccogliemmo qualche asse sparsa per chiudere il buco dietro l’altare e ce ne uscimmo nella notte bagnata, tutti tremanti. Mai avremmo potuto pensare che la gente del borgo, la mattina dopo, si mettesse a gridare “Al miracolo”.

“La Madonnina vuole guardare Verona!”, ”Protettrice dalla città!”, “Amica del Popolo…”. A sentire queste parole io e Niccolò ci vergognavamo molto, perché pensavamo di avere commesso un sacrilegio.

Nostro padre, che era un pezzo di pane e non solo perché faceva il mugnaio, si avvicinò a noi durante la cena e scosse la testa. “Tutto il paese parla di miracolo, ma io penso che ci siano due puteleti che sanno cosa sia successo veramente…!”.

Niccolò non sapeva trattenersi e scoppiò a piangere, spergiurò che mai e poi mai avrebbe profanato quell’immagine, che per lui era sacra e gli pareva la mamma, che se n’era andata mentre arrivava la nostra  soreletta Lucia. Era stato il vento, con il nostro aiuto perché gli avevamo aperto la strada togliendo le assi, ma il vento…

Allora mio padre ci prese vicino e pronunciò una frase bella, che ho ricordato per tutta la vita: “I miracoli camminano sulle gambe degli uomini, anche se non sono ancora cresciuti.”

Ci strinse le spalle, lo abbracciammo e piangemmo con lui.

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